La riscoperta, lo studio, le componenti

Scavo del muro esterno – 1934 - 

Eretto nel II secolo, probabilmente su un vecchio insediamento. Una volta in disuso, divenne un cimitero, con tombe in anfora, cappuccina e a fossa, collegato con la vicina abbazia di San Martino. Dopo l'abbandono da parte dei frati, la zona passò in mani private, che trasformarono chiesa e abbazia in abitazioni. Si deve ad Alfredo D'Andrade la prima intuizione della presenza dell'anfiteatro romano; nei primi anni del '900, identificò alcune murature visibili nei pressi dell'abbazia e notò che il muro del terrazzamento seguiva una curvatura ellittica oltre che le pietre e la loro disposizione erano tipici dell'epoca romana. Nel 1911 si deve al suo fedele assistente, il Cav. Angelo De Marchi, il rilievo fedele di quanto allora era in superficie. Questi aveva notato una parte di muro ad andamento curvilineo, estremamente spesso sul lato est a una ventina di metri da Villa Navone, già Abbazzia dei Monaci di San Martino della Gallinara in terra ferma. Proprio lo scetticismo sul fatto che un anfiteatro si potesse trovare in una posizione così inconsueta, portò nel 1934, il proprietario dell'area, l'avvocato Ambrogio Navone, a concedere la possibilità di intraprendere i primi scavi. Promossi dalla Società Storico-Archeologica Ingauna, d'intesa con la Regia Sovraintendenza assieme al Comune di Albenga, sotto la coordinazione di Nino Lamboglia, con l'aiuto dell'ingegner Francesco Cardani e di Mario Menegazzo. Portarono alla luce una parte del muro nord, oltre che un muro interno, grazie ai quali si poterono fare le prime ipotesi di dimensionamento dell'anfiteatro, come le dimensioni dell'arena e il muro di sostegno intermedio fra la cavea e il moenianum superiore. Gli scavi del 1934 furono interrotti perché sul resto del terreno era presente una carciofaia di cui il proprietario non voleva liberarsene. Lamboglia poté rilevare circa 60 metri di perimetro nel lato settentrionale e un brevissimo tratto del muro interno dell'arena. Questo permise di proporzionare l'edificio: un'ellisse il cui diametro maggiore misurava 72,80 m e quello minore 52,20 m, rispettivamente 245 e 175 piedi romani.

 scavo del vomitorium  
Scavo del muro esterno – 1934 - 
Durante il secondo periodo bellico l'altura del monte venne militarizzata dalle truppe tedesche che qui edificarono un piccolo bunker al centro dell'arena. La zona degli scavi venne poi coperta e invasa di sterpaglie e rovi. Nel 1953 viene sottoposta a vincolo dalla Soprintendenza per le antichità. Nel 1973, dopo la morte dell'avvocato Navone e la prematura scomparse del di lui erede, Gerolamo Navone, che erano proprietari dell'intera zona e che l'avevano mantenuta gelosamente integra, il tutto passò nelle mani di un meno amante dell'archeologia, il geometra Pietro Vio, che senza troppi permessi, trasformò in un ristorante la chiesa di San Martino costruendovi addossata un baracca. Inoltre avviò i lavori per realizzare un campeggio di bungalow abusivi. In questa fase danneggiò una parte del muro dell'anfiteatro. Pur senza licenza e in maniera abusiva, non gli venne proibito di farlo. Grazie alla soprintendenza, guidata dal Lamboglia, vennero bloccati i lavori abusivi, occupata l'area, e trovati i fondi per poter effettuare una nuova campagna di scavi, meno pioneristica di quella

del 1934. Nei mesi di novembre e dicembre del 1973 iniziarono i lavori. Tutta l'estremità ovest dell'ellisse vicino alla chiesa di San Martino è scomparsa, dallo scavo si evinse uno strato di pura roccia. Per cui Lamboglia poté affermare che dell'anfiteatro si conservano essenzialmente la metà nord e gli avanzi dell'arena sotto la spianata. Ma i fondi presto finirono e non fu più permesso di andare oltre con gli scavi. Durante questa campagna vennero alla luce alcune tombe.

La prematura scomparsa di Lamboglia fermò per qualche tempo gli scavi.

Mentre del lato nord si può descriverne senza dubbi la geometria, il lato sud è problematici. Gli scavi fatti degli anni '80 non hanno fatto emergere ciò che si ci aspettava di trovare. Tuttavia, Lamboglia, nel campagna del 1934 aveva rilevato un muro che era convinto risalisse all'età romana e che delineava il lato sud dell'anfiteatro. Questo fece presumere che la cavea era in muratura ma è andata distrutta.

Durante la seconda guerra mondiale il muro venne abbattuto, e gli scavi degli  anni '80 hanno non hanno permesso di accertare un collegamento tra la roccia sottostante, non tagliata o sagomata per ospitare la parte superiore in muratura. Recentemente dagli archivi è emerso il rilievo e una fotografia del muro descritto dal Lamboglia, che ha tolto ogni dubbio: i blocchi di arenaria erano identici ai muri dell'anfiteatro, ed aveva una certa curvatura che sarebbe conforme con quella che si ci aspettava. 
Figura 82: l'abuso fermato da Lamboglia poi demolito  
Figura 82: l'abuso fermato da Lamboglia poi demolito  



Il lato nord ha permesso di mettere in luce un accesso alla cavea, tramite scale interne sostenute da mura accoppiate. L'ingresso est che immetteva nell'arena direttamente con una rampa in lieve pendenza dalla larga soglia in pietra e dalle pareti leggermente convergenti, con a destra un corridoio secondario e a sinistra una ambiente di servizio.

rilievo delle rovine dell'anfiteatro 






















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